27 maggio 2012

Cosmopolis - David Cronenberg


Cosmopolis di bello ha una sola cosa: il trailer. Dopo il primo minuto in limousine viene un atroce sospetto, subito confermato: “Ah. E’ uno di quei film.” Dove per quei film si intende quelli che con il pretesto dell’autorialità si crogiolano nella noia e nell’essere poco mainstream come punto di forza, secondo la logica del ‘meno piaci al pubblico, più sei intellettuale’. Ebbene ci sono film intellettuali assolutamente godibili, ma Cosmopolis non è uno di questi. L’aver cercato di restare fedele ai dialoghi di De Lillo è forse il grande limite di questa produzione. Discorsi pretestuosi, monocorde, d’impostazione quasi teatrale. La limousine in cui è ambientato il film è rivestita di sughero, espediente che dovrebbe insonorizzarla dal mondo esterno, creando un’alienazione netta del protagonista rispetto al resto della società. Questo affascinante elemento narrativo viene reso con un silenzio di fondo quasi assoluto, nel quale attori più o meno famosi si alternano sul palcoscenico-limousine condotto dall’anfitrione Robert Pattinson - mono espressivo come pochi - in una lunga giustapposizione di discorsi lenti ed artificiali, con parole o intere frasi ripetute più volte in modo meccanico.

Un intero film senza trama, che si regge su un'auto dal fondale palesemente falso dietro ai finestrini per buona parte delle scene, con il contorno dei capelli degli attori che sembra ancora un rough cut di montaggio da cui resta da scontornare l’ultimo livello di green screen, laddove neanche la fotografia riesce ad amalgamare l’interno dell’auto con gli sfondi proposti all’esterno. Un effetto quasi da film retrò, che fa pensare ad una scelta stilistica mirata a far concentrare lo spettatore solo sulla qualità dei dialoghi. Ed è così che ci si ritrova ad ascoltare cose come: “Indossi un completo da cocktail”. “Sì.” “Colore blu navy.” “Sì.” “E gioielli d’argento e plastica.” “Sì.” “L’avevo notato.” Oppure: “Indossavi una cravatta?” “Indossavo una cravatta?” “Indossavi una cravatta.” Primi piani deformati dal grandangolo e speculazioni sul reale valore del denaro accompagnano il miliardario Robert Pattinson nel suo tragitto per andare a tagliarsi i capelli dall’altra parte della città, mentre mezza sala si è svuotata e gli spettatori rimasti non fanno che augurarsi la sua morte, gridando battute sarcastiche. Un Cronenberg lontano anni luce dai fasti visivi di Videodrome ed Existenz, così come dalla crudezza di A History Of Violence. Il servilismo nei confronti della narrativa contemporanea Americana si traduce qui in una triste perdita di smalto – e Pattinson di certo non aiuta.

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