5 novembre 2011

Imperial Bedrooms - Bret Easton Ellis

Leggere un romanzo di Bret Easton Ellis è sempre un po’ come guardare un film di Lynch: significa perdersi in una vicenda dai contorni fumosi come quelli di un sogno, che a tratti sfocia nelle tinte fosche dell’incubo. Ci sono lunghi piani sequenza a bordo di auto buie su strade panoramiche (in questo caso la Elevado al posto di Mulholland Drive), produttori che devono girare un film, complotti e fantasmi. Un ritorno ai personaggi di Meno Di Zero, cresciuti di vent’anni ma ancora disperati. Nonostante la maggiore età, il leitmotiv resta sempre la scritta “SPARIRE QUI”, che appare su sfuggenti cartelli stradali e sugli specchi dei bagni: vero e proprio grido d’aiuto di una generazione in totale post-caduta dei valori, persa in un horror vacui che anche da adulti viene riempito solo da droga, violenza e sesso estremo.


    Sullo sfondo di una Los Angeles che promette sogni ed elargisce disperazione, Ellis imbastisce un rapporto di reciproco cannibalismo tra lo sceneggiatore che si approfitta di un’aspirante attrice senza talento e l’attrice stessa, che finge di innamorarsi di lui per renderlo vulnerabile. I confini che sembravano così demarcati cominciano però ad andare in pezzi mentre telefonate anonime, auto dai finestrini oscurati ed intimidazioni stringono Clay dentro una spirale sempre più stretta di prostituzione, mutilazioni e ricatti: scatole ad incastro nelle quali si intravede la possibilità che tutto l’opportunismo e l’ambiguità dei personaggi potrebbe non essere altro che una paranoia del protagonista. A torto o a ragione, Clay finisce per isolarsi sempre di più dalle persone che lo circondano, mentre cerca la salvezza nell’alcol e nella speranza di un amore che potrebbe mettere a posto ogni cosa. Dare un senso. Riempire il vuoto. Ed è proprio l’assenza di questo amore a fungere da motore per ogni nefasta conseguenza – la consapevolezza che le persone che sembrano amarci hanno in realtà un tornaconto che non ci include, la paura – vera e propria paranoia – di non potersi fidare di nessuno. L’estremo terrore della solitudine si traduce qui in un riflesso di aggressività latente nei confronti del prossimo, in un disperato tentativo di proteggersi.
    L’estetica patinata della prosa di Ellis mostra la visione ultima che l’autore ha di sé e dall’ambiente in cui vive: un luogo della non speranza, dove chiunque – buono o cattivo – ha una doppia faccia ed un fondo di oscurità impenetrabile. Emblematico in tal senso uno dei capitoli finali, completamente decontestualizzato, in cui il protagonista si ritira in una villa violentando e seviziando due ragazzi, che ha comprato con lo stesso sistema che sembrava fargli ribrezzo. Non a caso i due ragazzi, poco prima di cominciare a subire le sue torture, guardano annoiati in tv il remake di Le Colline Hanno Gli Occhi. L’autore parla ad un pubblico ormai così assuefatto alla violenza da desiderare situazioni sempre più estreme, in un processo di desensibilizzazione senza ritorno, che ha come unico risultato quello di normalizzare situazioni socialmente inaccettabili. Basti pensare alla cronaca degli ultimi anni, a tutte le vittime di festini compiuti in età sempre più giovane, in presenza di droghe o sotto la minaccia di armi. Ellis compie con questo romanzo una lucida autocritica – non priva di autocompiacimento – con la quale intende giustificare la sua fobia sociale come un prodotto dell’età contemporanea.

Nessun commento: